Quando mi chiedono quale siano le mie specializzazioni, di solito rispondo così: arte e tecnica. Dal 2002, anno della mia laurea in interpretazione di conferenza alla Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Trieste, mi sono occupata in parallelo di traduzioni/interpretariati di carattere tecnico e di attività nel mondo dell’arte e della cultura.
Due percorsi paralleli?
Ma questi due macrosettori davvero sono come due linee che non si incontrano mai? Mi piace pensare di no. Ritengo che una formazione che comprende sia una sensibilità per l’arte, sia il rigore del mondo tecnico possa costituire un vantaggio. Non esistono, a mio avviso, compartimenti stagni quando si lavora nella traduzione e nell’interpretariato. Con qualche importante eccezione, sono pochi i testi strettamente “tecnici” e, d’altra parte, molti artisti amano confrontarsi con ambiti che qualcuno potrebbe considerare come antitetici al loro. Penso ad esempio al mio felice incontro, l’anno passato, con Peter Greenaway, che parlò di cinema, fisica, e perfino di ornitologia al Teatro Olimpico di Vicenza in una memorabile lezione intitolata “The atomic number of Uranium is 92” (il numero atomico dell’uranio è 92). Mentre traducevo i suoi complessi ragionamenti provai un’immensa gratitudine per i miei studi di arte e scienze, oltre alla mia conoscenza dell’opera del grande cineasta.
Danzare con le parole
La mia storia professionale degli ultimi 12 anni è stata caratterizzata dalla presenza, in diverse forme, della danza contemporanea. Questa settimana avrò l’opportunità di tornare in veste di interprete al festival Danza Urbana di Bologna per tradurre l’interessante incontro “Mediterraneo, la danza nei luoghi pubblici come resistenza politica“.
Dove sarà la tecnica, qui? Tecnica coreografica, performativa e… tecnica dell’interpretazione consecutiva!